La crisi ci sta togliendo tutto: la cultura, la
sanità, i servizi, le vacanze, ed ora ci impone di rinunciare al mondo
letterario. Quando parlo di "rinunciare" intendo riferirmi al praticare
lavorativamente quel genere di ambito che ormai sembra ritornare ad essere
d’elitè. Più volte, ascoltando le esperienze di amiche ed amici, sinceramente e
profondamente attratti da quell’ambito
lavorativo, ho sentito dire che quello dello scrittore, del giornalista, di un
organizzatore di eventi sia un lavoro che la gente ritiene debba essere fatto
gratuitamente per il bene della collettività: il lavoro vero e proprio è
un’altra cosa perché di opportunità serie nel mondo letterario non ce ne sono
più.
Mi chiedo: è davvero così?
Forse si, forse no: certamente non spetta a me
puntare il dito e dare sentenza ma cercherò di riportare in qualche modo
notizie e pensieri che da un po’ mi fanno riflettere su alcune cose.
Perché, il lavoro di un tecnico, per esempio un
commercialista, un geometra (e io di
mestiere faccio quello), vale economicamente di più rispetto a quello di un
giornalista, di uno scrittore e talvolta di un insegnante?
Viviamo in un mondo dove è diventato un clichè dire
che siamo in mezzo ad ignoranti, che le manifestazioni culturali non vengono
più esercitate, ecc. ma poi siamo i primi che al momento opportuno tendiamo a
sminuirle.
Penso ai giornalisti, quelli giovani che stanno
iniziando, e che si ritrovano (quando fortunati) ad avere 400.00 € lordi mensili che al giorno di oggi sono ¼ di
uno stipendio che servirebbe ad arrivare dignitosamente a fine mese.
Eppure costruire una casa vale di più rispetto a
costruire una coscienza, una cultura una presa di posizione che i giovani
devono farsi tramite i giornali, il libri, degli eventi culturali: cose che
sembrano avere il tempo che trovano ma che costituiscono il loro bagaglio
culturale a vita.
Vivo in un mondo in cui i sogni sembrano non potersi
realizzare, vivo in un mondo dove gli unici sogni che possiamo sperare di
vedere sono quelli che facciamo la notte, nella speranza che almeno quelli ci
facciano alzare la mattina con la forza di sopportare una giornata dura:
finalizzata al guadagno per qualcosa che forse non ci piace fare ma che ci fa racimolare
qualcosina, in questo periodo di crisi.
Dove sta il problema? Perché i sogni non posso
diventare realtà? Perché non possiamo
andare al lavoro con il sorriso ed essere orgogliosi del nostro operato? Un Paese che distrugge i
sogni non è un Paese, un Paese dove chi fa informazione e crea la nostra
cultura ambisce a 400.00 € non è un Paese.
Peter Pan
diceva: “Se puoi sognarlo puoi farlo”. E io che i giovani o chiunque
voglia realizzare il proprio sogno lavorativo ci voglio credere ancora.
Maria Antonietta